Lo sciopero dei pallonari

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Il mese di agosto non è stato solo il mese del calciomercato. Ad agitare gli animi di società, calciatori e tifosi è stato anche e soprattutto il problema del contratto collettivo dei calciatori e dello slittamento dell’inizio del campionato. L’associazione italiana calciatori, presieduta da Damiano Tommasi, si è vista rifiutare dalla Lega con 18 voti contrari e 2 favorevoli (di Cagliari e Siena) la proposta di contratto collettivo sostanzialmente per opinioni discordanti su due punti: gli articoli 4 e 7. L’Aic ha reagito proclamando lo “sciopero” e difatti la prima giornata di campionato non è stata disputata. La parola sciopero è volutamente virgolettata in quanto non può essere definito tale un atto con cui i calciatori rimandano una giornata di campionato e non subiscono detrazioni economiche. Difatti lo sciopero vero e proprio prevede il disertare il luogo di lavoro e l’abbandono dell’attività lavorativa per un certo periodo e conseguentemente la detrazione in busta paga da parte del datore di lavoro dei giorni non lavorati. Qui invece non c’è l’abbandono della prima giornata di campionato ma soltanto il rinvio e le società, almeno così pare, non detrarranno nulla dagli stipendi dei giocatori. Quindi più che di sciopero è più opportuno parlare di “dimostrazione”.
Ora entriamo nel merito del dibattito. A proposito dell’articolo 7, le società vorrebbero introdurvi un comma che dia assoluta autonomia allo staff tecnico in merito all’organizzazione degli allenamenti ma i calciatori lo rifiutano dicendo che darebbe alle società un mezzo per fare pressioni sui giocatori non più graditi e che si vuole spingere alla cessione, escludendoli dal gruppo principale della squadra.
A proposito dell’articolo 4, invece, che riguarda i rapporti economici, i calciatori non accettano l’inserimento di un comma che permetta alle società di scaricare sui giocatori il costo di tassazioni straordinarie decise dal governo, come il contributo di solidarietà che dovrebbe essere inserito nell’ultima manovra finanziaria. La questione nasce perché molti contratti stabiliscono il compenso netto dei calciatori e le tasse rimangono interamente a carico delle società. Le società invece vorrebbero che tali emolumenti siano a carico dei calciatori.
La proposta della FIGC rifiutata dalla Lega Calcio riguardava un contributo di 20 milioni di euro che la stessa FIGC avrebbe messo a disposizione delle società per il triennio 2011-2013, con cui pagare il contributo di solidarietà.

Ora le cose sembrano essersi appianate. Per lunedì è attesa la firma del contratto collettivo e il 9 settembre dovrebbe ripartire il campionato di serie A. Si tratta di un accordo ponte valido fino al 30 Giugno 2012 in cui l’articolo 7 non sarà inserito mentre il problema del contributo di solidarietà è stato risolto dal Governo che lo ha ritirato dalla manovra. Il campionato ripartirà dalla seconda giornata, la prima verrà recuperata in data da destinarsi.

Lo sdegno della gente verso “questi milionari che hanno il coraggio di scioperare” è più che comprensibile. Va ricordato però che non solo i calciatori ma anche i patron delle società sono “milionari”. Questa quindi è una guerra tra ricchi con caratteri paradossali dove a rimetterci sono le migliaia di tifosi in astinenza da calcio. Tommasi parla di diritti da rispettare, la Lega imputa ai calciatori vittimismo e piagnistei. Credo abbiano ragione entrambi e auspico che per il futuro questi signori possano trovare gli accordi necessari tra di loro utilizzando intelligenza e moderazione, evitando cioè di arrivare ad atti dimostrativi come questo di oggi che in tutta onestà sono inopportuni e immorali. Chi lavora sciopera, chi guadagna milioni tirando calci ad un pallone dovrebbe riflettere a lungo e tentare tutte le strade possibili di conciliazione prima di “scioperare”.

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