Riforma Fornero: cosa resterà dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori

dirittoRiforma Fornero: cosa resterà dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori

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Era il lontano maggio 1970 quando, dopo un’ intransigente lotta di lavoratori che ha caratterizzato il cd. “autunno caldo” del 1969 (milioni di lavoratori in lotta, innumerevoli ore di sciopero, fabbriche occupate, interminabili cortei) il Parlamento approva la legge n. 300/70 intitolata  “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, meglio nota come “Statuto dei Lavoratori”,  formata da ben 41 articoli, tra cui anche il tanto discusso art. 18.

L’art. 18 si applica ai lavoratori, con contratto a tempo indeterminato, che lavorino presso aziende  con più di 15 dipendenti. Esso rappresenta lo strumento più efficace di tutela del lavoratore contro i licenziamenti dichiarati dal giudice con sentenza inefficaci e nulli perché privi di giusta causa o giustificato motivo, in quanto prevede la REINTEGRA del lavoratore sul posto di lavoro, oltre un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (non può essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale).

Quindi, di fatto, l’art. 18 permette al lavoratore di ritornare sul posto di lavoro che occupava prima del licenziamento, ovvero nel luogo e nelle mansioni originarie. Tale tipo di tutela viene definita tutela reale, che si differenza dalla tutela obbligatoria, in quanto la seconda si applica ai lavoratori presso aziende con meno di 15 dipendenti e non prevede la reintegra.

Ora, invece, se la riforma Fornero troverà pieno accoglimento  – il 23 marzo il Consiglio dei Ministri ha emanato il nuovo disegno di legge, il 31 maggio il Senato ha espresso voto favorevole, ora si attende il voto delle Camere – vi saranno modifiche rilevanti sul piano delle tutele del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. Infatti esclusivamente per i licenziamenti “discriminatori” le conseguenze a capo del datore di lavoro rimangono quelle previste dall’art. 18, ovvero la reintegra del lavoratore illegittimamente licenziato, mentre negli altri casi il lavoratore avrà diritto solo al pagamento di un indennizzo per un numero di mensilità che la stessa legge determinerà.

Dal punto di vista pratico, l’ipotesi in cui un lavoratore licenziato possa effettivamente essere reintegrato sul posto di lavoro diminuisce eccessivamente, anche perché i casi in cui i giudici abbiano dichiarato nullo un licenziamento perché discriminatorio sono davvero rari (negli ultimi anni solo il 2 – 3% dei casi). Questo scaturisce una maggiore flessibilità di uscita, in quanto il datore di lavoro si sente più libero di licenziare un proprio dipendente non essendo più sottoposto ai rigidi schemi e obblighi che la tutela reale, nonché l’art. 18, gli condizionava.

Tuttavia, come dichiarato dallo stesso ministro del lavoro Elva Fornero, la nuova riforma del lavoro non ha lo scopo di risollevare l’Italia dalla grande crisi economica che sta attraversando, né tantomeno potrà fare miracoli, ma ha semplicemente lo scopo di dare dei parametri base al sistema di lavoro, nei quali, da un lato, occorre che il cittadino si attivi per cercarsi un lavoro, dall’altro lato occorre che il mercato dia concretamente occasioni di lavoro attraverso servizi e risorse efficienti.

In conclusione, con la riforma del lavoro Fornero viene eliminato il “cuore” dell’art. 18, ovvero la tutela reale e la possibilità del lavoratore di riprendersi il proprio posto di lavoro.

Se tale modifica riuscirà davvero a garantire una maggiore flessibilità di entrata sarà solo il tempo a provarlo, sulla supposizione che se sussiste maggiore flessibilità di uscita il datore di lavoro sarà più incentivato a nuovi assunzioni; tuttavia bisogna anche valutare il “vecchio” art. 18  in una prospettiva reale e concreta, in un sistema in cui stipulare un contratto a tempo indeterminato è un sogno puramente utopistico, soprattutto per le giovani generazioni, in un sistema giuridico in cui i casi dove effettivamente i giudici concedano la reintegra del lavoratore licenziato ingiustamente sono davvero rari, prevalendo negli ultimi anni il filone datoriale su quello pro-lavoratore, in un mondo in cui l’art. 18 non esiste più da anni, e nonostante ciò la sua potenziale, oramai quasi più vicina, modifica ha scaturito tante polemiche.

Forse dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 non resterà più nulla, ma, tuttavia, occorre più domandarsi cosa ne è stato realmente dell’art. 18 negli ultimi anni e come mai solo con la riforma Fornero si siano risvegliati cosi tanti animi. Ai posteri l’ardua sentenza!

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