PAOLO BORSELLINO E IL VENTENNALE DALLA STRAGE DI VIA D’AMELIO – Ogni giorno che passa è un giorno in più in cui ci si allontana dalla verità. Sono trascorsi 20 anni dal 19 luglio 1992 , quando il giudice antimafia Paolo Borsellino fu ucciso nell’attentato di via D’Amelio insieme ai cinque agenti della sua scorta. Oggi, nel palazzo di Giustizia, la sorella del giudice, europarlamentare Pd ha commemorato il fratello per ricordare il ventennale dall’attentato: “Paolo ha cominciato a morire quando ha capito che quello in cui credeva si è rivoltato contro. Non permetterò che venga ucciso altre volte. Speranza, giustizia e verità devono vivere”.
Le parole di Rita Borsellino sono cariche di risentimento e non si darà certo per vinta, soprattutto alla luce delle dichiarazioni del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano “si deve lavorare senza sosta e senza remore per la rivelazione e sanzione di errori e infamie che hanno inquinato la ricostruzione della strage di via D’Amelio”, continua nel messaggio che ha inviato ai magistrati di Palermo per ricordare Paolo Borsellino: “Nessuna ragion di Stato può giustificare ritardi nell’accertamento della verità. Come ha fermamente dichiarato il presidente del Consiglo Monti non c’è alcuna ragion di Stato che possa giustificare ritardi nell’accertamento dei fatti e delle responsabilità, ritardi e incertezze nella ricerca della verità specie su torbide ipotesi di trattativa tra Stato e mafia – ha detto Napolitano – E proprio a tal fine è importante scongiurare sovrapposizioni nelle indagini, difetti di collaborazione tra le autorità ad esse preposte, pubblicità improprie e generatrici di confusione. Su ciò deve vegliare tra gli altri il presidente della Repubblica, cui spetta presiedere il Consiglio superiore della magistratura: e deve farlo, come in questi anni ha sempre fatto, con linearità, imparzialità, severità“.
La sorella dell’eroe-magistrato parla di polemica: “Adesso pretendo giustizia“. I giudici che indagano sulla presunta trattativa stato-mafia dietro all’attentato percepiscono “fastidio da parte delle istituzioni“. Le parole del Presidente della Repubblica sembrano scivolare lisce come l’olio… si farà giustizia… ma in che modo se sono passati 20 anni? Nel lontano 1992 avevamo delle certezze, il giudice Paolo Borsellino e il suo compagno e collega di lealtà ‘Giovanni Falcone‘ furono uccisi dalla mafia. Non ci sono voluti telefilm, o libri per comunicare al popolo come sono andate in realtà le cose… la verità era sotto gli occhi di tutti, la verità è quella in cui uomini di Stato avevano contribuito alla loro morte con l’aiuto della mafia. E dopo tanti anni, quando tutti sapevano tutto, oggi nessuno sa più niente. I nomi dei mandati di quella terribile estate siciliana non sono mai saltati fuori.
La mafia, in questi anni, sembra aver rotto il silenzio mentre l’omertà vige ancora tra la politica e gli stessi uomini di legge, ed è questo l’ostacolo più grande, soprattutto quando il pm Di Matteo che sta indagando sulla trattativa dichiara: “Percepiamo fastidio verso le nostre indagini”. Per anni magistrati, investigatori, hanno inquinato prove seguendo addirittura false piste montate ad hoc per depistare le indagini. Lo sostiene anche il giornalista Attilio Bolzoni a Repubblica TV
Tutto questo, però, è stato scoperto dai magistrati di Palermo e Caltanissetta i quali hanno fatto emergere le macchinazioni e i tentativi di coprire la verità circa l’attentato, quando è stato appunto richiesto di riaprire il processo di via d’Amelio. I magistrati infatti sostengono che Cosa Nostra agì assieme a personaggi che lavoravano nelle istituzioni e nei servizi segreti. Tuttavia sono frammenti di verità che non riescono a guardare il sole in faccia per via dei potenti d’Italia, che con il loro grande piede ne calpestano la luce. I magistrati siciliani, purtroppo, quando imboccano la strada giusta vengono intralciati dagli uomini dell’istituzioni che fanno finta di non ricodare nulla.
E alla luce dei nuovi fatti, quando a Rita Borsellino, sulla quale pesano forti responsabilità per via del cognome che porta, le si chiede se lo stato ha fallito o meno nella ricerca della giustizia, lei risponde: “Non lo definisco un fallimento, ma ci sono parti dello Stato che sono profondamente colpevoli e che hanno remato contro. È come se ci fossero due parti che lottano l’una contro l’altra. Paolo era lo Stato, come diceva il procuratore Vittorio Teresi, l’altro era lo Stato mafia. Non c’è però sconfitta se dopo venti anni si ricomincia a cercare sul serio la verità. Non si è riusciti a mettere tutto a tacere“.