“In nome di Sua Santità Benedetto XVI gloriosamente regnante, il tribunale, invocata la Santissima Trinità, ha pronunciato la seguente sentenza: visti gli articoli 402, 403 numero 1, 404 primo comma numero 1 dichiara l’imputato Paolo Gabriele colpevole del delitto previsto dall’art 404 primo comma numero 1 del codice penale, per avere egli operato, con abuso della fiducia derivante dalla relazioni di ufficio connesse alla sua prestazione d’opera, la sottrazione di cose che in ragione di tali relazioni erano lasciate od esposte alla fede dello stesso. Lo condanna pertanto alla pena di anni tre di reclusione”.
Era il 23 maggio scorso. Queste le parole del presidente del tribunale, Giuseppe Dalla Torre, che ha elencato le norme del codice Zanardelli, vigente ancora in Vaticano, relative alla prima condanna di Paolo Gabriele per furto, furto aggravato e furto qualificato di documenti riservati della Santa Sede. Sono le 12.15 del 6 Ottobre quando, dopo una settimana esatta, in sole quattro udienze, viene concluso il processo-lampo a carico dell’ex maggiordomo di Benedetto XVI: una pena mite per chiudere l’insolito ed oscuro capitolo Vatileaks. I tre giudici vaticani hanno deciso di concedere le attenuanti a Paolo Gabriele considerando “l’assenza di precedenti penali”, le “risultanze dello stato di servizio in epoca antecedente ai fatti contestati”, il ”convincimento soggettivo, sia pure erroneo, indicato dall’imputato quale movente della sua condotta”, e la ”dichiarazione circa la sopravvenuta consapevolezza di aver tradito la fiducia del Santo Padre”. La condanna è stata ridotta dunque a 18 mesi di reclusione, senza neppure l’interdizione dagli uffici pubblici (ma solo da quelli che comportano l’uso di potere), come era stato invece suggerito da Nicola Picardi, pubblico ministero di Città del Vaticano. Probabilmente, però, Paolo Gabriele non sconterà neppure questa pena per la grazia suprema che Papa Benedetto XVI intende concedergli. Per ora l’ex maggiordomo del Papa è tornato nella sua casa in Vaticano, ufficialmente agli arresti domiciliari; resta però indelebile la denigrazione proveniente dalla sua perizia psichiatrica di qualche mese fa, diffusa anche pubblicamente su internet, che lo dichiara “un soggetto esposto a manipolazioni da parte di altri, una personalità fragile con derive paranoidi”. Rimangono comunque dei capitoli aperti nella questione Vatileaks: l’accusa di favoreggiamento nei confronti del tecnico informatico Claudio Sciarpelletti (mentre risultano cadute tutte le altre accuse di complicità verso gli altri “corvi” per mancanza di prove); l’inchiesta sulle carte segrete rubate da Gabriele, se esse possano essere realmente considerate un “attentato allo Stato”; l’inchiesta (ancora riservata) su tre cardinali, condotta su incarico del Papa stesso e l’inchiesta sugli abusi subiti in cella dallo stesso Gabriele e denunciati durante il processo. Per la difesa, l’ex maggiordomo non ha rubato le carte, ma se n’è “appropriato indebitamente” (giusto il tempo di fotocopiarle) “per giovare, e non per danneggiare, la Chiesa, mosso da alti motivi morali: quasi costretto dal male che vedeva”. I documenti “rubati” probabilmente denunciavano lotte di potere all’interno del Vaticano e irregolarità nella gestione finanziaria dello Stato e nell’applicazione delle normative antiriciclaggio
Molti sono ancora gli interrogativi, i segreti e le oscurità che ruotano intorno a questo processo; Paolo Gabriele continua a dichiarare “non mi sento un ladro”: forse una “grazia” ricevuta solo in cambio del silenzio mediatico? Sarà un caso che accuse ed insinuazioni del genere provengono solo dai media e dai giornali stranieri? Forse l’ex maggiordomo, più che un corvo, è solo il capro espiatorio di un qualcosa di più ampio e complesso.