Greenpeace, l’inchiesta shock: vestiti cancerogeni per 20 marchi

CronacaGreenpeace, l'inchiesta shock: vestiti cancerogeni per 20 marchi

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E’ stata lanciata oggi da Greenpeace la sfilata shock che mette sotto inchiesta la produzione di grandi marchi di abbigliamento: Benetton, Jack & Jones, Only, Vero Moda, Blazek, C & A, Diesel, Esprit, Gap, Armani, H & M, Zara, Levi, Victoria ‘s Secret, Mango, Marks & Spencer, Metersbonwe, Calvin Klein, Tommy Hilfiger e Vancl. 

Per realizzare ogni capo sembrerebbe che questi grandi produttori utilizzino delle sostanze altamente cancerogene tanto da provocare il cancro e disturbi ormonali dell’uomo. Si tratta di indumenti contaminati e Greenpeace ha svelato a tutto il mondo i segreti di questi grandi distributori con una denuncia pubblicata nel rapporto internazionale “Toxic Threads – The Fashion Big Stitch-Up” che Greenpeace ha lanciato oggi da Pechino con una sfilata shock.

L’organizzazione ambientalista ovviamente ha effettuato una indagine ad hoc acquistando capi in vari luoghi del mondo e si tratta di pantaloni, magliette, lingerie e abiti realizzati in Cina e in altri Paesi in via di sviluppo, facendo poi analizzare i tessuti.

Greenpeace afferma:

In circa due terzi dei 141 campioni sono stati rilevati nonilfenoli etossilati”, ha denunciato Greenpeace. In alcuni vestiti sono stati rinvenuti anche ftalati o coloranti contenenti ammine cancerogene. I nonilfenoli etossilati sono prodotti chimichi usati spesso come detergenti in diversi processi industriali e nella produzione di tessuti naturali e sintetici. Una volta usati e scaricati, si decompongono in nonilfenoli, un sottoprodotto molto tossico considerato un interferente endocrino.
I marchi messi sotto accusa “sono attori importanti dell’industria della moda, con la sola Zara che produce 850 milioni di capi di vestiario ogni anno

Continau Li Yifang,  responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Asia orientale «Si può immaginare l’entità dell’impronta tossica lasciata sul Pianeta, soprattutto in alcuni Paesi in via di sviluppo come la Cina dove molti di questi prodotti vengono realizzati».

LE SOSTANZE CHIMICHE –  Per ogni marca, uno o piu’ articoli analizzati contengono NPE (composti nonilfenoloetossilati) che possono rilasciare i corrispondenti nonilfenoli, pericolosi perche’ in grado di alterare il sistema ormonale dell’uomo.

I livelli più alti di contaminazione superiori a 1ppm, sono stati trovati per i marchi Zara (già al centro di un grave dibattito ‘I panni sporchi di Zara‘ per il diritto dei lavoratori), Metersbonwe, Levi’s, C & A, Mango, Calvin Klein, Jack & Jones e Marks & Spencer (M & S). Sempre per Zara la situazione è inaccetabbile, infatti quattro dei capi analizzati risultano contaminati ad alti livelli di:

Ftlati tossici, esteri dell’acido ftalico, oggetto di controversia dal 2003; alcuni studi sembrano mostrare che siano in grado di produrre effetti analoghi a quelli degli ormoni estrogeni, causando una femminilizzazione dei neonati maschi e disturbi nello sviluppo dei genitali e nella maturazione dei testicoli.
Studi sui roditori mostrano che un’elevata esposizione agli ftalati provoca danni al fegato, ai reni, ai polmoni ed allo sviluppo dei testicoli, tuttavia, un analogo studio condotto da ricercatori giapponesi su una specie di primati non ha evidenziato effetti a carico dei testicoli

un’ammina cancerogena derivante dai coloranti azoici.

Martin Hojsik, coordinatore della campagna Detox di Greenpeace International sostiene: «In qualita’ di piu’ grande rivenditore al mondo di abbigliamento, Zara deve adottare con urgenza un piano ambizioso e trasparente per eliminare le sostanze tossiche dalle sue filiere di produzione».

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