Lance Armstrong: La caduta del Re

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Lance Armstrong

Lance Armstrong, per anni questo nome negli ambienti ciclistici è stato sinonimo di mito, leggenda, oggi invece questo nome rappresenta una delle pagine più nere dello sport mondiale. Il 7 volte vincitore del Tour de France  ha ammesso infatti pubblicamente di aver fatto uso di sostanze dopanti durante la sua straordinaria carriera, il caso Armstrong è solo l’ennesimo di una lunga serie che ormai sta scippando credibilità al ciclismo.

Come un fulmine in una notte d’estate Lance Armstrong sconvolge il mondo con le sue dichiarazioni choc alla trasmissione di Oprah Winfrey: “È vero, mi sono dopato. Vincere sette Tour nell’era dell’Epo era impossibile senza sostanze dopanti: per come la vedo io, era necessario, era parte del lavoro”. Il castello di sabbia costruito da Lance si sfalda così sotto un mare di polemiche che distruggono l’immagine perbenista del campione statunitense. “Il doping era endemico, lo praticavano tutti: assumere sostanze proibite era come avere aria negli pneumatici o acqua nelle borracce” Armstrong rivela quindi una realtà agghiacciante, la dipendenza dalla vittoria, e finalmente dopo anni di bugie rivela la sua verità: “Ho confessato tardi ed è colpa mia. Vedo questa situazione come una grande bugia che ho ripetuto molte volte”. Questa confessione però non fa altro che avvalorare la sentenza dell’Usada (United States Anti-Doping Agency) che il 24 Agosto 2012 aveva già revocato al ciclista americano tutte le vittorie ottenute dal 1998 in poi, oltre logicamente a squalificarlo a vita, tale sentenza venne inoltre condivisa dall’Uci (Unione Ciclistica Internazionale). L’amarezza è tanta, Armstrong in un sol colpo ha visto disintegrare i risultati sportivi conseguiti in una vita intera, una carriera eccezionale costituita da 7 Tour de France (record assoluto nella storia della gara a tappe francese) e un bronzo alle Olimpiadi di Sydney 2000 tutti revocati, salvo invece il mondiale vinto nel 1993 ad Oslo, non salva invece la dignità di un campione che purtroppo non può più definirsi tale.

Questa volta fa male, fa male davvero, il colpo inferto al ciclismo è pesante, è di quelli da non riprendersi più, la credibilità già precaria di questo sport sembra ormai persa, persa per sempre. Non sarà più lo stesso, non si può far finta di niente dinanzi ad uno scandalo di queste proporzioni, Lance Armstrong era il simbolo di questo sport un pò come Shumacher per la Formula 1 ne era l’emblema, eppure lui rifiuta l’etichetta affibbiatagli dall’Usada di “boss del più complesso sistema di doping di ogni tempo” e si difende così:  “Non ho inventato io quella cultura, ma non ho provato a fermarla. E non era un programma più ampio di quello della Germania dell’Est degli Anni 70 e 80. Io ero il leader del team, ma non il general manager o il direttore sportivo. Il leader dà l’esempio, ma non c’è mai stata un’imposizione dall’alto. Eravamo tutti adulti e ognuno ha fatto la propria scelta: qualcuno ha deciso di non doparsi”. Armstrong inoltre c’ha tenuto a precisare che dopo il ritorno alle corse nel 2008 (dal 2005 al 2008 lo scalatore statunitense si era ritirato dalla vita agonistica per il sopraggiungere di un tumore ai testicoli) non ha più fatto uso di sostanze dopanti. Purtroppo anche questi personaggi che devono rappresentare la parte pulita dello sport inzuppano le mani nella melma, e così nel ciclismo anche la pioggia diventa subito fango.

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