Prima di diventare migliaia, all’inizio erano poche decine di manifestanti che tentavano di salvare dalle ruspe gli alberi del parco Gezi di Istanbul dove al suo posto dovrebbero sorgere un centro commerciale e una moschea. Complice la dura repressione della polizia, la protesta ha subito una modificazione: ora è la Turchia laica che contesta l’autoritarismo del premier Recep Tayyip Erdogan e l’ingerenza del suo governo filo-islamico nella vita privata dei cittadini. Anche se sotto la sua guida, la Turchia ha conosciuto un decennio di stabilità e di crescita economica sostenuta, le contestazioni di queste settimane sono il sintomo di un malessere diffuso, scaturito dall’approvazione di alcune leggi ritenute, soprattutto negli ambienti laici, un tentativo di islamizzazione dolce della società turca.
Infatti questo disagio si era manifestato già alcuni giorni fa, in occasione di una protesta ad Ankara contro il divieto di scambiarsi effusioni nel metrò. Così questa nuova protesta da Instanbul è arrivata, passando da Smirne, fino alla capitale.
In questo quarto giorno di manifestazioni in migliaia sono confluiti verso piazza Taksim urlando «Tayyp, dimettiti», rivolgendosi così al premier turco. Proprio vicino al suo ufficio la polizia ha caricato di nuovo con i gas lacrimogeni. Anche il regista turco Ferzan Ozpetek, come molti altri intellettuali e artisti di Istanbul, sta sostenendo i manifestanti di Gezi park. Stamane, inoltre, Amnesty International ha denunciato l’uso eccessivo della forza da parte della polizia turca, evidenziando come «l’utilizzo di gas lacrimogeni contro manifestanti pacifici in uno spazio ridotto, dove possono comportare un serio rischio per la salute, è inaccettabile e viola gli standard internazionali dei diritti umani. Deve essere fermato immediatamente».
Intanto Erdogan, in visita in Marocco, minimizza su ciò che sta accadendo nel suo paese. Per il premier che alle legislative del 2011 era stato rieletto con oltre il 50% dei consensi, è un segnale preoccupante, che potrebbe costringerlo a rivedere la sua agenda per gli anni a venire. E’ risaputo che entro la fine del suo mandato, nel 2015, Erdogan vuole riformare la costituzione per attribuire maggiori poteri al presidente: carica che lui stesso ambirebbe a occupare a coronamento del suo percorso politico.