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Allarme terrorismo a Palermo, fermata ricercatrice libica

Allarme terrorismo a Palermo dove una cittadina libica di 45 anni, Khadgia Shabbi, ricercatrice universitaria in Economia nell’Ateneo siciliano, è stata fermata dalla polizia del capoluogo siciliano e poi rilasciata, su ordine del gip, in seguito alla mancata convalida del provvedimento. La polizia, su ordine della Procura, l’aveva fermata per istigazione a commettere reati di terrorismo. La donna è accusata di essere in contatto con diversi foreign fighters e di fare propaganda per Al Qaeda sul web.

L’indagata vive a Palermo da tre anni, è ricercatrice in Economia e riceve un assegno di duemila euro al mese dall’ambasciata libica. L’indagine è coordinata dal Procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Leonardo Agueci e dal pm Gery Ferrara. I pm di Palermo le contestano l’istigazione a delinquere in materia di terrorismo aggravata dalla transnazionalità.
Dopo alcune segnalazioni, la polizia l’ha monitorata per mesi, accertando i suoi contatti in particolare con due foreign fighters, uno in Belgio, l’altro in Inghilterra. La donna avrebbe anche trasferito somme di denaro per finalità sospette in Turchia.
Inoltre la ricercatrice sarebbe imparentata con esponenti di una organizzazione terroristica coinvolta nell’attentato all’ambasciata americana in Libia nel 2012.
Infatti la Shabby avrebbe anche cercato di pianificare l’arrivo in Italia di un suo cugino ricercato per collegamenti con le milizie, poi morto in Libia durante un bombardamento su Bengasi. Lo aveva iscritto a un corso di italiano per stranieri, così da fargli ottenere un permesso di soggiorno.

Il grave quadro proposto dall’accusa non ha convinto il gip Fernando Sestito, che non ha convalidato il fermo, rigettando la richiesta di misura cautelare in carcere come chiesto dalla Procura, ma l’obbligo di dimora a Palermo senza imporre all’indagata alcun divieto di comunicazione con l’esterno. Per il magistrato, che ha riconosciuto comunque la sussistenza dei gravi indizi a carico della donna, non ci sarebbero però rischi di inquinamento probatorio, ma solo la possibilità che reiteri il reato, circostanza che, a parere del magistrato, rende sufficiente la misura dell’obbligo di dimora con divieto di uscire durante le ore notturne.