Alberto Stasi uccise Chiara Poggi perché “diventata pericolosa”

CronacaAlberto Stasi uccise Chiara Poggi perché "diventata pericolosa"

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Questa mattina alle 9:00 i giudici della V Sezione Penale, presieduta da Maurizio Fumo, si è riunita per decidere se disporre un nuovo processo, condannare o assolvere Alberto Stasi, il fidanzato, all’epoca del delitto, di Chiara Poggi, uccisa il 3 agosto 2007, e per il quale era stata disposta nel 2014 una pena di 16 anni di reclusione.

Omicidio Garlasco, Alberto Stasi, rito abbreviato, incastrato da un capello

A disseminare il dubbio di un assoluzione, in questi ultimi giorni, è stato il sostituto procuratore generale, Oscar Cedrangolo, che ha stupito tutti con la sua richiesta di annullamento con rinvio. Che in base allo scorrere delle indagini Alberto Stasi avrebbe potuto essere assolto o magari essere condannato ad una pena maggiore dei 16 anni di condanna a causa del rito abbreviato.

Tuttavia, dopo la sentenza, Stasi si è recato nel carcere di Bollate, Milano, con la madre, per costituirsi. L’appello-bis, ricordiamo, non ha applicato le aggravanti per il 32enne commercialista, non riconoscendogli così la crudeltà e premeditazione del delitto.
Le motivazioni del delitto avanzate durante la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Milano, che la cassazione ha confermato, sono espletate così: “Alberto Stasi ha brutalmente ucciso la fidanzata, che evidentemente era diventata, per un motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo ‘per benè e studente ‘modellò, da tutti concordemente apprezzato”. Secondo i giudici, anche se il “il movente dell’omicidio è rimasto sconosciuto”, si ipotizza che la “passione” di Alberto “per la pornografia” scoperta da Chiara avrebbe potuto “provocare discussioni, anche con una fidanzata ‘di larghe vedutè” e che le “difficoltà” del loro rapporto di coppia siano alla base di quella “motivazione forte” che ha”provocato (..) il raptus omicida”. Poi secondo in base a quanto raccontato dai giudici Stasi è riuscito a gestire la situazione con abilità e destrezza appena commesso l’omicidio: “a riprendere in mano la situazione, e a fronteggiarla […] facendo le sole cose che potesse fare, quelle di tutti i giorni: ha acceso il computer, visionato immagini e filmati porno, ha scritto la tesi, come se nulla fosse accaduto”.

La madre di Chiara Poggi può parlare finalmente di giustizia: “Giustizia è stata fatta, finalmente. Questa è una tragedia che ha colpito due famiglie non dobbiamo mai dimenticarlo. Eravamo pessismisti, l’abbiamo saputo dalla tv. Siamo molto emozionati. Per noi Alberto era come un figlio: 8 anni e 4 mesi sono stati tanti, ma non ho mai pensato in nessun momento di fermarmi. Dovevo cercare la verità per mia figlia”.
Il legale della famiglia Poggi, Gian Luigi Tizzoni, dice che non si tratta di una “sentenza a metà” e in riferimento alla requisitoria del pg di Cassazione che ieri ha parlato di “una perniciosa forma di spettacolarizzazione” attraverso “i processi televisivi”, Tizzoni ha dichiarato che gli italiani devono capire come funziona la giustizia italiana.

La scelta del rito abbreviato accomuna tutti i grandi casi. Nel caso del delitto di Garlasco, la Cassazione, un anno fa, nel deliberare la condanna non ha riconosciuto alcuna attenuante, neppure le generiche, e l’omicidio è stato categorizzato come “semplice”, con esclusione dell’aggravante della crudeltà che era contestata all’imputato. Senza tali attenuanti la pena-base per l’omicidio è di 24 anni, che vengono ridotti di un terzo (otto anni) quando il processo viene affrontato attraverso il rito abbreviato e il risultato della pena equivale quindi ai 16 anni inflitti ad Alberto Stasi. Il rito abbreviato viene chiesto dall’imputato entro la formulazione delle conclusioni nell’udienza preliminare e il processo si chiude nell’ambito dell’udienza preliminare. Si tratta di un rito premiale, poiché l’imputato rinuncia al dibattimento ed alle connesse garanzie, accettando di essere giudicato sulla base degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del p.m.; tuttavia, in cambio di ciò, la pena applicata in caso di condanna è ridotta.

Il rito o processo abbreviato è stato approvato dalla Camera il 13 gennaio 2010, la cui approvazione è avvenuta non senza notevoli polemiche segnando così uno scontro tra politica e giustizia nel nostro Paese. Scelto in molti dei grandi casi italiani dal delitto Rea, e grazie al quale Salvatore Parolisi, assassino della moglie, dovrà scontare 20 anni di carcere invece di 30. Lo stesso rito abbreviato richiesto da Michele Buoninconti, in carcere per aver ucciso la moglie, Elena Ceste, e al quale le amiche di Elena si stanno opponendo.

Intanto la difesa di Alberto Stasi parla di una sentenza “allucinante”, commenta così: “Non si mette una persona in carcere senza una prova certa”. “Prendiamo atto della decisione ma Alberto andrà in carcere senza una prova certa e con una sentenza che è completamente illogica come aveva denunciato il sostituto procuratore generale della Cassazione ieri nella sua requisitoria”. Alberto Stasi fu assolto due volte: nel 2009 dal Gup del Tribunale di Vigevano per “mancanza di prove”. Poi nel 2011 assolto dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano “per non aver commesso il fatto”. Ma nel 2013 la Cassazione rimescola le carte e richiede di esaminare il Dna su un capello trovato tra le mani della vittima e i suoi residui di dna sotto le unghie. In questo caso fu il cugino di Chiara, Paolo Reali, ad insistere su questo dettaglio importantissimo, che addirittura non era stato analizzato. Paolo Reali dichiarò ai microfoni di Sky: “Il nostro intento è quello di chiarire ogni dubbio che è rimasto. A noi è sembrato che quella frase ‘verità inconoscibile’ nel corso del processo d’appello di Milano, sia qualcosa che si possa scrivere solo dopo aver provato e tentato ogni strada per chiare i dubbi che sono rimasti. Siccome dubbi ce n’erano, e tra l’altro a 360 gradi, di approfondimenti che avevamo chiesto e che potevano anche essere a favore di Stasi, tipo l’esempio più semplice come il capello che era stato trovato tra le mani di Chiara e che non era stato analizzato. Noi non sappiamo a chi appartenga. Forse è doveroso nei confronti della vittima andare a capire di chi fosse prima di chiudere l’iter giudiziario”. Così durante il processo-bis del 2014 Alberto Stasi fu condannato a 16 anni di reclusione con rito abbreviato.

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